Team H2politO 2015

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18 dicembre 2014

La progettazione meccanica: dal modello alla realizzazione di un componente

Come si progetta un componente meccanico? Questa non è affatto una domanda facile alla quale rispondere. Servono due delle qualità più importanti che un ingegnere deve avere, al di là della conoscenza, ovviamente. Esse sono la creatività ed una buona dose di pigrizia. Sembrerà strano leggere questa affermazione , ma proseguendo con la lettura saranno senza dubbio più chiare le ragioni che sono alla base di quest’ ultima frase.
Di certo con pigrizia non si intende la poca volontà nel lavorare o nel portare a termine progetti lunghi e complessi, ma la mentalità che porta ogni persona ad ottenere i migliori risultati possibili con il minimo sforzo, cercando di realizzare soluzioni tanto efficaci quanto semplici.
In questo senso, usando una “proporzione matematica”,  la pigrizia sta al progettista come la penna allo scrittore.

Il primo passo da eseguire consiste nell’osservare un problema e guardarsi intorno per accertarsi che altri non lo abbiano già affrontato, magari trovando anche delle soluzioni. Successivamente si passa alla realizzazione di un disegno, e quindi di un modello 3D, con una geometria  quanto più semplice possibile, ma che dia idea degli ingombri e delle possibili limitazioni della soluzione.
Primo modello di un supporto
 Il secondo passo è quello di decidere, in base alle proprie esigenze, il materiale e la metodologia di realizzazione del pezzo, onde evitare di definire geometrie particolari per poi scoprire, solo successivamente, che queste sono irrealizzabili o realizzabili a prezzi eccessivi. La pigrizia ancora una volta viene in aiuto all’ ingegnere facendogli valutare tutte le possibili problematiche del particoalre in questione prima di realizzarlo.
Così dopo aver realizzato il modello di base si sfrutta un arma potentissima messa a disposizione dei progettisti negli ultimi anni: la simulazione. Uno strumento  che consente di ottimizzare il più possibile le parti meccaniche progettate prima che esse vengano messe in produzione, al fine di risparmiare moltissimo tempo, denaro, lavoro, massae cosi via. Essa è tanto potente quanto complessa e può rivelarsi un’arma a doppio taglio se non utilizzata correttamente.
Alla base della simulazione infatti vi è il concetto di discretizzazione di un modello, che deve essere precedentemente realizzato con un CAD,, tramite un insieme di nodi ed elementi di varia geometria.  Questo metodo è detto metodo degli elementi finiti (FEM) e ha lo scopo di  simulare le caratteristiche reali del componente in un ambiente virtuale, per ottenere delle soluzioni approssimate a dei problemi normalmente descritti da equazioni differenziali. L’insieme di questi elementi forma la mesh del componente e può essere composta  da elementi: 3D come tetra (tetraedri) o Exa (Esaedri), 2D come quad (quadrati) o tria (elementi triangolari) nel caso di solidi con una dimensione trascurabile rispetto alle altre. Nel caso di geometrie in cui due dimensioni sono trascurabili rispetto ad una terza (cavi o travi), si utilizzano invece elementi 1D.
La mesh fà sì che i nodi siano connessi da elementi a cui vengono attribuite le proprietà del materiale selezionato, quali il modulo di Young E e il coefficiente di Poisson ν, che tramite la combinazione lineare di funzioni algebriche permetteranno di fornire, come output, delle deformazioni in base a definite condizioni al contorno, ad esempio. Questo permette di prevedere il comportamento del componente che si sta progettando in base ai vincoli e carichi che sono stati considerati.
Il punto debole di questo metodo è quello che si sta realizzando un modello ad elementi finiti di un componente che si potrebbe assumere come continuo, per questo per ottenere risultati “approssimati” tanto più vicini alla realtà quanto possibile, si usa “infittire” la mesh nelle zone di maggior interesse.

Mesh di un supporto
 La domanda che sorge spontanea è : “perché non inserire un numero altissimo di elementi in modo da avvicinarsi moltissimo alla realtà”?
Perché in base al numero di elementi utilizzati le matrici da elaborare dal sistema di calcolo assumono dimensioni sempre maggiori, ed in base al tipo di simulazione i tempi di calcolo possono essere linearmente o addirittura esponenzialmente proporzionali al numero di elementi utilizzati, il che porterebbe a tempi di calcolo insostenibili. E’ evidente quindi come un bravo ingegnere debba utilizzare il metodo degli elementi finiti per realizzare un modello che sia tanto accurato quanto rapido da simulare.

Stati tensionali di un supporto
 Dopo aver effettuato la simulazione è possibile valutarne le deformazioni, le reazioni vincolari, gli stress e tanti altri parametri, che possono aiutare a modificarne la geometria per raggiungere il miglior compromesso nel particolare progettato: funzionalità, semplicità, salvaguardando caratteristiche di resistenza e deformazione, e futuro costo di realizzazione. In questo modo è possibile realizzare, ad esempio, degli alleggerimenti nelle zone soggette a una tensione minore, e che quindi “contribuiscono” di meno alla resistenza strutturale.


Stati tensionali di un supporto "alleggerito"
 Infine si realizza la messa in tavola,  ossia la tavola quotata necessaria per la messa in produzione e voilà, il gioco è fatto. E’ solo necessario aspettare che la macchina utensile completi la sua opera per vedere il componente realizzato!


Messa in  tavola del supporto

Il supporto "vero" realizzato





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